POETI

Ascoltate "Nuvole" di Alda Merini

recitano gli alunni di 5^B

  BEATRICE F. -ALESSIA -GIANLUCA -TAREQ -ANDREA -RICCARDO -GIULIA -VALERIA -FEDERICO -BEATRICE R. -CAMILLA -MANUEL -SERENA -FABIO -CRISTIAN -PATRIZIA -SALMA -DAVIDE - NICOLE -MICHELE

LE POESIE CELEBRATIVE:

 LE ODI

ODE ALL'AUTUNNO

Autunno, con le tue foglie multicolori;

autunno, con le tue giornate uggiose;

autunno, con le grigie nebbie;

autunno, con la migrazione degli uccelli;

autunno: porti letargo e riposo a tutti.

L'anàfora (dal greco anaphorá, "ripresa") è una figura retorica che consiste nel

 riprendere, ripetendola, una parola o un'espressione all'inizio di frasi o di versi

 successivi, per sottolineare un'immagine o un concetto. L'effetto è tanto maggiore

 quanto più numerose sono le ripetizioni.

ESEMPI FAMOSI

Don Abbondio stava su una vecchia seggiola,

ravvolto in una vecchia zimarra,

con in capo una vecchia papalina. (Manzoni)

Per me si va nella città dolente,

per me si va fra la perduta gente, 

per me si va ne l'eterno dolore (Dante)

Sei nella terra fredda,
sei nella terra nera (Carducci)

La libertà non è star sopra un albero,...

non è neanche il volo di un moscone,


la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione.

 (Giorgio Gaber-cantautore) 
Addio monti sorgenti dall'acque,

.. addio (Manzoni)
Laudato sii, mi' Signore

ODE AL CARCIOFO

(Pablo Neruda)

Il carciofo

dal tenero cuore

 si vestì da guerriero,

ritto, costruì

 una piccola cupola,

si conservò

 impermeabile

 sotto

 le sue squame...

CALCO: ODE ALl'anguria

(classe V B)

L'anguria

dal rosso cuore

si vestì

di uno spesso cappotto verde

tra la terra

arsa dal sole.

Tagli profondi

le incisero sorrisi

dolci, dissetanti,

bandiere di piena estate.

 
INNO ALLA VITA

(Madre Teresa di Calcutta)

La vita è bellezza, ammirala.

La vita è un’opportunità, coglila.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, donala.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un’avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.

 

SE FOSSI

(Giusi Quarenghi)

Se fossi cane farei pace col gatto

Se fossi gatto farei pace col topo

Se fossi leone farei pace con la gazzella

Se fossi lupo farei pace con l'agnello

Se fossi fuoco farei pace con l'acqua

Se fossi carta farei pace con le forbici

Se fossi me farei pace con te

Ma perché solo a me

tocca far pace

con chi è con me?

Non vale

 

Rosalba

(anonimo)

Rosalba, porti nel tuo nome il chiarore del mattino.

Rosalba, sei la luce che illumina il mio cammino.

Rosalba, la tua voce è una dolce sinfonia.

Rosalba, sono sempre in cerca della tua compagnia.

Rosalba, perché non credi nel nostro incanto?

Rosalba, a te dedico il mio accorato pianto.

 

S'i' fosse foco

sonetto d'inizio Trecento di Cecco Angiolieri

(contemporaneo di Dante Alighieri)

S'i' fosse foco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempesterei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo

s'i' fosse papa, sarei allor giocondo,
che tutti i cristiani imbrigherei;
s'i' fosse 'mperator, sa che farei?
a tutti mozzerei lo capo a tondo

s'i' fosse morte, andarei da mio padre;
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similmente faria da m' madre

s'i' fosse Cecco, come sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre,
e vecchie e laide lassarei altrui.

BIOGRAFIE e POESIE

Giosuè Carducci

(1835-1907)

BIOGRAFIA

Nacque in Toscana a Valdicastello (Lucca) il 27 luglio 1835.

I primi studi li fece sotto la guida del padre che esercitava la professione di medico. Poi passò a Firenze e quindi a Pisa, dove si laureò in lettere all’età di ventun anni. Dopo circa quattro anni iniziò ad insegnare all’Università di Bologna, dove lavorò per oltre quarant'anni. Nel 1906 ebbe l’onore di ricevere il premio Nobel per la letteratura.

Morì di polmonite il 16 febbraio dell'anno dopo a Bologna, all’età di 72 anni.

SAN MARTINO di Giosuè Carducci

La nebbia a gl'irti colli           

piovigginando sale,               

e sotto il maestrale                         

urla e biancheggia il mar;  

                                

ma per le vie del borgo          

dal ribollir de' tini                           

va l'aspro odor de i vini                 

l'anime a rallegrar.

 

Gira su ceppi accesi               

lo spiedo scoppiettando:       

sta il cacciator fischiando      

su l'uscio a rimirar                          

 

tra le rossastre nubi               

stormi d'uccelli neri               

com'esuli pensieri,                           

nel vespero migrar.

SPIEGAZIONE

L'atmosfera piena di brio del borgo è dovuta al giorno di San Martino (cioè l'11 novembre) in un paesino della Maremma (Bolgheri o Castagneto), poiché per le vie si diffonde quell'odore aspro di vino e di carne che viene cotta sullo spiedo, ma i pensieri dell'uomo sfuggono a quest'allegria e volano lontani proprio come gli uccelli.

Questo giorno risulta di una certa importanza per gli agricoltori perché segna la fine del lavoro nei campi e l'inizio del travaso del vino dai tini nelle botti. All'allegria del borgo si contrappone quella tristezza del paesaggio autunnale in quanto avvolto dalla nebbia.

PARAFRASI E FIGURE RETORICHE

La nebbia, sciogliendosi in una lieve pioggerella, risale per le colline rese ispide (irti colli, perché i loro alberi in autunno sono spogli e scheletrici) dalle piante ormai prive di fogliame e, spinto dal vento freddo di nordovest (maestrale), il mare in burrasca é bianco di spuma e rumoreggia frangendosi sulla scogliera (urla= personificazione del mare).

Ma (la congiunzione avversativa serve per contrapporre al paesaggio desolato la vivacità del borgo in piena attività) per le vie del piccolo paese contadino (borgo: Bolgheri il paese dell'infanzia di Carducci) si diffonde, dai tini dove fermenta il mosto, l’odore aspro del vino nuovo che rallegra i cuori (allitterazione - la ripetizione del suono r nella seconda strofa - che le conferisce un timbro festoso).

E intanto sulla brace del focolare scoppiettano le gocce di grasso che cadono dallo spiedo su cui cuoce la cacciagione; e il cacciatore se ne sta sull'uscio a guardare stormi di uccelli che, a contrasto con le rosse (rossastre, per la luce del tramonto) nubi, sembrano neri, come quei pensieri (similitudine: uccelli-pensieri) che  che si vorrebbe mandar via lontano (esuli.. migrar) al tramonto (vespero, l'ora del vespro, coincidente all'incirca con il tramonto).

Bottoni (116) San Martino - Fiorello

MAGGIOLATA

Con il componimento “Maggiolata”, ossia “cantata di maggio”, il poeta Giosuè Carducci, si ispira alla primavera inneggiandola a periodo in cui la natura si sveglia col sole a nuova vita. Si tratta di un inno alla primavera, all’amore e alla vita. Il mese di maggio, secondo lo scrittore porta con sé una nuova ventata di giovinezza, nonostante arrechi altresì anche cattive novelle.

Maggio risveglia i nidi,
maggio risveglia i cuori;
porta le ortiche e i fiori,
i serpi e l’usignol.
Schiamazzano i fanciulli
in terra, e in ciel li augelli:
le donne han nei capelli
rose, negli occhi il sol.
Tra colli prati e monti
di fior tutto è una trama:
canta germoglia ed ama
l’acqua la terra il ciel...

SPIEGAZIONE

Carducci ribadisce la sua visione ottimistica della vita in modo semplice e naturale. La natura che si risveglia sottolinea gli aspetti positivi della poetica carducciana.

Maggio è il mese in cui si risvegliano i cuori degli uomini, nascono e cantano gli uccelli dai nidi, sbocciano i fiori, ma è anche il periodo in cui crescono le ortiche ed i serpenti si svegliano dal loro letargo (simboli di sentimenti dolorosi e pensieri oscuri: gli aspetti negativi, in contrapposizione a quelli positivi, comunque non predominano mai sulla visione positiva che Giosuè Carducci ha della vita).

I bambini giocano all’aperto grazie al clima dolce e mite che lo consente e schiamazzano correndo contenti; si ode il cinguettio festoso degli uccelli nel cielo; le donne sembrano avere la luce del sole nei loro sguardi affascinanti e pieni di vita e si adornano i capelli con boccioli di rosa appena colti.

Le colline, i prati ed i monti rinverdiscono, sono lontani i tempi della stagione invernale, possiamo ammirare il tappeto di fiori, che la natura ci regala, simile ad un ricamo (trama), l’acqua dei torrenti gorgoglia. La terra, l’acqua ed il cielo, rinascono a nuova vita ed amano, perché la natura stessa risveglia l’amore che è insito in ogni cosa e contagia anche le persone portandole a provare quella gioia di vivere che si espande per tutto il corpo, attraverso la terra e si dilata fino al cielo. 

PARAFRASI

Il mese di maggio (e quindi la primavera inoltrata) risveglia gli uccellini nei nidi

così come i cuori degli uomini;

fa crescere le ortiche e sbocciare i fiori,

torna a cantare l'usignolo e i serpenti si svegliano dal letargo.

I bambini gridano felici (giocando all'aperto, perché il clima lo consente),

gli uccelli nel cielo cantano festosi,

le donne si adornano i capelli di rose appena colte

e sembrano avere la luce del sole nei loro sguardi.

Sulle colline, nei prati e sui monti

si può ammirare un tappeto di fiori splendido come un ricamo (trama),

 mentre gorgoglia e rinascono a nuova vita (la vita come atto d'amore)

l'acqua dei torrenti, la terra e il cielo.

GIOVANNI PASCOLI

31 dicembre 1855 - 6 aprile 1912

BIOGRAFIA

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Da ragazzo studiò in collegio ad Urbino. Nel 1867 il padre, mentre tornava a casa su un calessino trainato da una cavalla storna, rievocata in una poesia, fu ucciso. Non si seppe mai chi fosse l’assassino ed il delitto rimase perciò impunito. Poco dopo la morte del padre Giovanni Pascoli perse anche la madre, due fratelli e una sorella: rimasto solo con le due sorelle Ida e Maria, cadde nella miseria e nel dolore. Il poeta poté giungere alla laurea, grazie ad una borsa di studio che gli permise di frequentare l’università di Bologna, dove incontrò Giosuè Carducci, che diventò suo mentore (a lui è dedicato il racconto "Ricordi di un vecchio scolaro"). Insegnò poi come professore di lettere, arrivando ad occupare nel 1906 la cattedra che era stata del Carducci. Morì nel 1912 di cancro.
Le vicende tristissime della sua famiglia, a cui egli assistette da fanciullo, lasciarono un solco profondo nel suo animo ed influirono sul suo carattere e conseguentemente sulla sua poesia.

LA CAVALLA STORNA

  1. Nella Torre il silenzio era già alto.
  2. Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
  3. I cavalli normanni alle lor poste
  4. frangean la biada con rumor di croste.
  5. Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
  6. nata tra i pini su la salsa spiaggia;
  7. che nelle froge avea del mar gli spruzzi
  8. ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
  9. Con su la greppia un gomito, da essa
  10. era mia madre; e le dicea sommessa:
  11. “O cavallina, cavallina storna,
  12. che portavi colui che non ritorna;
  13. tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
  14. Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
  15. il primo d’otto tra miei figli e figlie;
  16. e la sua mano non toccò mai briglie.
  17. Tu che ti senti ai fianchi l’uragano
  18. tu dai retta alla sua piccola mano.
  19. Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
  20. tu dai retta alla sua voce fanciulla”
  21. La cavalla volgea la scarna testa
  22. verso mia madre, che dicea più mesta:
  23. “O cavallina, cavallina storna,
  24. che portavi colui che non ritorna;
  25. lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
  26. Con lui c’eri tu sola e la sua morte.
  27. O nata in selve tra l’ondate e il vento,
  28. tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
  29. sentendo lasso nella bocca il morso,
  30. nel cuor veloce tu premesti il corso:
  31. adagio seguitasti la tua via,
  32. perché facesse in pace l’agonia…”.
  33. La scarna lunga testa era daccanto
  34. al dolce viso di mia madre in pianto.
  35. “O cavallina, cavallina storna,
  36. che portavi colui che non ritorna;
  37. oh! due parole egli dové pur dire!
  38. E tu capisci, ma non sai ridire.
  39. Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
  40. con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
  41. con negli orecchi l’eco degli scoppi,
  42. seguitasti la via tra gli alti pioppi:
  43. lo riportavi tra il morir del sole,
  44. perché udissimo noi le sue parole”.
  45. Stava attenta la lunga testa fiera.
  46. Mia madre l’abbracciò su la criniera.
  47. “O cavallina, cavallina storna,
  48. portavi a casa sua chi non ritorna!
  49. a me, chi non ritornerà più mai!
  50. Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
  51. Tu non sai, poverina; altri non osa.
  52. Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
  53. Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
  54. esso t’è qui nelle pupille fise.
  55. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
  56. E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.
  57. Ora, i cavalli non frangean la biada:
  58. dormian sognando il bianco della strada.
  59. La paglia non battean con l’unghie vuote;
  60. dormian sognando il rullo delle ruote.
  61. Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
  62. disse un nome... Sonò alto un nitrito.
  1. Il silenzio era già assoluto presso la Torre.
  2. I pioppi del Rio Salto sussurravano al vento.
  3. I cavalli normanni, nelle loro stalle,
  4. masticavano la biada con un sonoro ruminio.
  5. Laggiù c’era la cavalla selvaggia,
  6. nata fra i pini di una spiaggia salata,
  7. e questa sulle mucose del naso aveva ancora
  8. gli spruzzi del mare, e negli orecchi le urla stridenti.
  9. Mia madre, a fianco a lei, le teneva un gomito
  10. sul dorso; e le diceva con voce bassa:
  11. “O cavallina, cavallina pezzata di grigio,
  12. che portavi con te chi non tornerà più;
  13. tu che capivi i suoi gesti e i suoi comandi!
  14. Lui ha lasciato un orfano di pochi anni;
  15. [lui] è il primo dei miei figli e delle mie figlie;
  16. e lui non ha mai preso delle briglie in mano.
  17. Tu [cavallina] che senti ai tuoi fianchi il caos
  18. del delitto e ti fidi della sua piccola mano.
  19. Tu che hai nel cuore le erbe del mare.
  20. tu che ti fidi della sua voce da bambino”.
  21. La cavalla girava la testa piccola e magra
  22. verso mia madre, che diceva ancor più triste:
  23. “O cavallina, cavallina grigia,
  24. che portavi con te chi non può tornare più;
  25. come so bene che l’amavi tantissimo!
  26. Con lui, c’eravate solo tu e la morte.
  27. O tu, nata in un bosco tra il vento e le onde,
  28. tu hai tenuto stretto nel cuore il tuo spavento;
  29. quando hai sentito allentarsi il morso in bocca,
  30. hai preso a galoppare nel tuo cuore:
  31. lentamente hai seguito la strada verso casa,
  32. perché Ruggero morisse in pace…”.
  33. La magra testa della cavallina era a fianco
  34. al viso dolce di mia madre, rigato dalle lacrime.
  35. “O cavallina, cavallina pezzata,
  36. che portavi con te chi non c’è più;
  37. oh! lui avrà dovuto pur dire qualcosa!
  38. Tu l’hai capito, ma non lo puoi ripetere.
  39. Tu, con le briglie che ti cadono tra le zampe,
  40. con lingue di fuoco dentro gli occhi,
  41. con l’eco dei colpi di fucile negli orecchi,
  42. hai seguito la strada tra i filari dei pioppi:
  43. tu riportavi a casa Ruggero al tramonto,
  44. affinché noi udissimo le sue parole”.
  45. La lunga testa della cavallina stava attenta e fiera.
  46. Mia madre le strinse la criniera.
  47. “O cavallina, cavallina dal manto grigio,
  48. tu conducevi con te chi non può tornare!
  49. a me [portavi] chi non tornerà mai a casa!
  50. Sei buona… ma non puoi parlare!
  51. Tu non sai [parlare], poveretta; altri non osano farlo.
  52. Oh! Ma devi svelarmi una cosa!
  53. Tu hai visto il volto dell’assassino:
  54. esso è qui, fissato nelle tue pupille
  55. Chi è stato? Chi è? Ti dirò un nome.
  56. Tu fai un cenno - Dio ti dirà come”
  57. Ora, i cavalli non mangiavan più la biada:
  58. dormivano, sognando strade bianche.
  59. Non picchiavano con lo zoccolo sulla paglia;
  60. dormivano sognando il rotolio delle ruote dei carri.
  61. Mia madre, nel silenzio del mondo, alzò un dito:
  62. disse un nome… s’alzò un nitrito nel cielo.

SPIEGAZIONE

Il poeta rammenta la tragedia della sua famiglia, quando morì assassinato il padre. 
Ci presenta sua madre che si reca nelle stalle a trovare la cavalla storna che aveva riportato a casa il corpo del marito senza vita. La donna parla alla cavalla, come se  potesse capirla; le chiede anzi di parlare, come se fosse un essere umano. Le dà una carezza sulla criniera e la cavalla volge il capo verso di lei, attenta, come se ascoltasse. 
La donna le parla come a un membro della famiglia, le ricorda l'affiatamento che aveva col suo padrone, le ricorda i figli piccoli rimasti orfani; poi vuole da lei una conferma. La famiglia Pascoli era convinta di sapere chi fosse l'autore del delitto, anche se la giustizia umana non era riuscita, o non aveva voluto trovarlo. La donna interroga la cavalla, che aveva compiuto la pietosa opera di riportare a casa il suo padrone morente, e le sussurra un nome, quel nome, il nome dell'assassino. 
Nel silenzio l'animale fa risuonare un alto nitrito, confermando i sospetti della donna e mostrandosi umanamente partecipe al dolore dei suoi padroni.

"IL PESCATORE"

BASE "IL PESCATORE"

Il pescatore (karaokeFabrizio De Andrè PFM ).mp3

La cavalla storna sulle note de "IL PESCATORE" di Fabrizio De Andrè
anim25

IL LAMPO

E cielo e terra si mostrò qual era: A

la terra ansante, livida, in sussulto;B
il cielo ingombro, tragico, disfatto:C
bianca bianca nel tacito tumulto B
una casa apparì sparì d'un tratto;C
come un occhio, che, largo, esterrefatto,C

s'aprì si chiuse, nella notte nera. A 

Metrica

Ballata piccola di endecasillabi.

Due strofe (un verso-strofa + una sestina)

Rima: rime libere (A;B;C;B;C;C;A)

Parafrasi

E il cielo e la terra si mostrarono quali erano:

la terra ansimante, di un colore plumbeo, sconvolta;

il cielo denso di nuvole, cupo, a pezzi:

bianchissima nel silenzioso frastuono

una casa apparve-scomparve all’improvviso,

come un occhio che grande, atterrito,

si aprì - si chiuse, nella notte buia.

Questa poesia è collegata a “Il tuono” e anche a “Temporale”, con cui presentano molti elementi in comune, a cominciare dalla struttura metrica e dallo schema di rime, che sono identici.

Le poesie sono costruite su un avvicinamento di sensazioni: qui più visive; e nella poesia “Il tuono” essenzialmente uditive. 

IL TUONO

E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.

Metrica

Ballata piccola di endecasillabi.

Due strofe (un verso-strofa + una sestina)

Rima: rime libere (A;B;C;B;C;C;A)

Parafrasi
E nella notte buia

all'improvviso, con un frastuono simile a quello di una rupe che frana,

il tuono rimbombò, echeggiò, si ripetè in lontananza sordo,

e una pausa di silenzio, e poi di nuovo ritornò,

e poi sparì. Dolce allora un canto

si udì di una madre, e il movimento di una culla.

Anche noi come FIORELLO

X AGOSTO  musica (247)

1. San Lorenzo, io lo so perché tanto
2. di stelle per l’aria tranquilla
3. arde e cade, perché si gran pianto
4. nel concavo cielo sfavilla.
5. Ritornava una rondine al tetto :
6. l’uccisero: cadde tra i spini;
7. ella aveva nel becco un insetto:
8. la cena dei suoi rondinini.
9. Ora è là, come in croce, che tende
10. quel verme a quel cielo lontano;
11. e il suo nido è nell’ombra, che attende,
12. che pigola sempre più piano.
13. Anche un uomo tornava al suo nido:
14. l’uccisero: disse: Perdono;
15. e restò negli aperti occhi un grido:
16. portava due bambole in dono.
17. Ora là, nella casa romita,
18. lo aspettano, aspettano in vano:
19. egli immobile, attonito, addita
20. le bambole al cielo lontano.
21. E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
22. sereni, infinito, immortale,
23. oh! d’un pianto di stelle lo inondi
24. quest’atomo opaco del Male!

Parafrasi
San Lorenzo, io so perché un numero così grande di stelle brilla e cade attraverso l’aria tranquilla, perché un pianto così grande risplende nella volta del cielo. Una rondine stava ritornando al suo nido: fu uccisa: cadde tra i rovi: aveva nel becco un insetto: la cena per i suoi figlioletti. Ora è là, come se fosse in croce, che tende quel verme verso quel cielo lontano; e i suoi piccoli sono nell’oscurità ad aspettarla, pigolando sempre più piano. Anche un uomo stava tornando a casa: fu ucciso: disse: “Vi perdono”; e nei suoi occhi sbarrati restò soffocato un grido: portava in regalo due bambole… Ora là, nella casa solitaria, lo aspettano, lo aspettano inutilmente: lui immobile, sbigottito mostra le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, infinito, eterno, dall’alto dei mondi sereni, inondi di un pianto di stelle questo corpuscolo senza luce caratterizzato solo dal male.

Giacomo Leopardi

bullet

Nasce a Recanati (Marche) nel 1798, da famiglia nobile. Primo di otto figli, Giacomo Leopardi cresce tra l'indifferenza del padre e l'eccessiva severità della madre. Trascorre tutta la fanciullezza tra i libri della vasta biblioteca paterna, formandosi sotto la guida di insegnanti privati e come autodidatta. A vent'anni Leopardi si innamora segretamente della cugina, ma contemporaneamente viene anche colpito da una grave malattia, che indebolisce per sempre il suo fisico. Qualche anno dopo supera malamente una grave malattia agli occhi. Non sopportando più la squallida vita di Recanati, tenta di fuggire a Milano, ma viene scoperto dal padre. Tornato a Recanati, annoiato dall'ambiente, matura un grande pessimismo nei confronti della realtà. Successivamente va a lavorare a Bologna. Soggiorna per breve tempo anche a Firenze, dove conosce Alessandro Manzoni (lo scrittore de "I PROMESSI SPOSI"). Intanto le sue condizioni fisiche si aggravano e decide di recarsi a Napoli, sperando di stare meglio grazie al clima più salubre. Muore a Napoli, il 14 giugno del 1837 a soli 39 anni.

L'INFINITO

IL PASSERO SOLITARIO

POESIA E MUSICA

La libertà

di Giorgio Gaber

La libertà non è star sopra un albero,

non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione.

 "Vorrei essere libero, libero come un uomo!"

Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,
sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà.

 Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.

 La libertà non è star sopra un albero,

non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione.

 "Vorrei essere libero, libero come un uomo!"

 Come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà.

 La libertà non è star sopra un albero,

non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione.

 La libertà non è star sopra un albero,

...
la libertà non è uno spazio libero,

libertà è partecipazione.

OH! SUSANNA

DANTE e MANZONI

L'INFERNO DI DANTE

Poesia ermetica

Parafrasi

I soldati sono come le foglie in autunno.

Commento
Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere la condizione di soldato. Egli paragona infatti il soldato ad una foglia d'albero in autunno: basta un colpo di vento per far morire la foglia, così come basta un colpo di fucile a far cadere il soldato.

La poesia è stata scritta nel 1918, ma il contenuto è riconducibile a TUTTE LE GUERRE e non unicamente alla Prima Guerra Mondiale. 

 

GIUSEPPE UNGARETTI

(Alessandria d'Egitto 1888- Milano 1970) 

 

Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, da genitori italiani. Il padre, operaio, morì due anni dopo la nascita del poeta in un incidente sul lavoro.  La madre mandò avanti la gestione di un forno, con il quale garantì gli studi al figlio. L'amore per la poesia nacque durante questo periodo scolastico. Si trasferì poi a Parigi per svolgere gli studi universitari. In Francia Ungaretti perfezionò le conoscenze letterarie e lo stile poetico. Nel 1914 decise di partire volontario per la Grande Guerra. Finita la guerra, Ungaretti ritornò a Parigi e lavorò presso l'ufficio stampa dell'ambasciata italiana. Nel 1920 il poeta si sposò ed ebbe due figli, Anna Maria e Antonietto. Giunto in Italia nel 1921, aderì al fascismo: Mussolini stesso ha firmato la presentazione di una sua raccolta. Poco prima della seconda guerra mondiale, nel 1936, fu chiamato a insegnare lettere italiane all'Università di San Paolo, in Brasile. Dal 1942 insegnò letteratura italiana moderna all'Università di Roma. Morì improvvisamente a Milano a 82 anni.

STATI D'ANIMO DI DIDONE

Coro descrittivo III / XIX
Ora il vento s’è fatto silenzioso
E silenzioso il mare;
Tutto tace; ma grido 
Il grido, sola, del mio cuore,
Grido d’amore, grido di vergogna
Del mio cuore che brucia
Da quando ti mirai e m’hai guardata
E più non sono che un oggetto debole.
    Grido e brucia il mio cuore senza pace
Da quando più non sono
Se non cosa in rovina e abbandonata.

G. Ungaretti

 

ED È SUBITO SERA
Salvatore Quasimodo

Biografia
Nacque a Modica (Ragusa) nel 1901 e trascorse la sua infanzia in vari paesi della Sicilia, seguendo il padre che faceva il capostazione. Poi visse a Roma, dove studiò ingegneria, ma le precarie condizioni economiche e gli interessi per le lingue antiche (latino e greco) lo dissuasero presto da quel tipo di studi. Nel 1929 cominciò le sue pubblicazioni poetiche. Nel 1940 pubblicò la sua mirabile traduzione dei Lirici Greci, ottenendo tali consensi che nel 1941 fu chiamato a insegnare letteratura italiana  a Milano. Intanto, scoppiata la seconda guerra mondiale, il poeta ne fu profondamente sconvolto.
Nel 1959 ricevette il premio Nobel per la letteratura.
Morì per un ictus in auto a Napoli nel 1968.

La poetica
L’esperienza poetica di Quasimodo si può suddividere in tre tappe essenziali.

La prima è rappresentata dalle poesie improntate ai modelli più illustri del tempo, a partire da Giovanni Pascoli.
Temi salienti:
- l’amore per la propria terra;
- la malinconia;
- il ricordo dell’infanzia.

La seconda ha come esperienza essenziale l’ermetismo.

La terza tappa si può considerare quella che scaturisce dalla dolorosa esperienza della guerra.

Ed è subito sera
Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

“Ed è subito sera” è, senza dubbio, uno dei componimenti più brevi e allo stesso tempo famosi del poeta siciliano, rappresentativo come pochi altri della corrente ermetica. Scopriamo di più di questo componimento andando ad analizzare il testo della poesia (i versi di cui si compone questa poesia erano parte, in origine, di una poesia più lunga dal titolo "Solitudini"; per la precisione erano gli ultimi versi di questo componimento che, dopo una revisione accurata del testo, ha deciso di RIASSUMERE così).

Quasimodo in soli tre versi riesce a racchiudere tutto il significato dell’esistenza e a rendere, in modo poetico, tutte le riflessioni che vengono fatte sulla condizione dell’esistenza umana.

Parafrasi
Ogni uomo vive solo, credendo di essere al centro del mondo,
ed è colpito da un raggio di sole, luce che dà gioia, ma anche dolore.
Poi all’improvviso giunge la sera (la morte).

 

Ugo Foscolo

(Zante 1778- Londra 1827)

Nacque a Zante, un'isola greca del mar Ionio vicina al Peloponneso, da padre veneziano e madre greca. Abbandonò a quattordici anni la sua isola, quando la famiglia si trasferì a Venezia. Qui studiò e presto cominciò a scrivere e si fece una fama come poeta (una sua tragedia scritta all'età di diciannove anni fu rappresentata in teatro a Venezia). Quando Napoleone cedette la città di Venezia all'Austria, egli non si sentì più di continuare a viverci, né poté più apprezzare l'opera di Napoleone, che prima aveva ammirato molto. Partì  e trascorse periodi a Milano, a Bologna, a Firenze. Ebbe molte e intense relazioni amorose, tutte concluse infelicemente. Lasciò infine l'Italia per trasferirsi in Inghilterra. Negli ultimi anni si trovò in gravi difficoltà economiche. Morì di idropisia vicino a Londra nel 1827, a soli quarantanove anni.

A ZACINTO

 

Né più mai toccherò le sacre sponde

ove il mio corpo fanciulletto giacque,

Zacinto mia, che te specchi nell'onde

del greco mar da cui vergine nacque

 

Venere, e fea quelle isole feconde

col suo primo sorriso, onde non tacque 

le tue limpide nubi e le tue fronde

l'ìnclito  verso di colui che l'acque

 

cantò fatali, ed il diverso esiglio

per cui bello di fama e di sventura

baciò la sua petrosa Itaca Ulisse .

 

Tu non altro  che il canto avrai del figlio,

o materna mia terra; a noi  prescrisse

il fato illacrimata  sepoltura.

PARAFRASI della poesia

 

Io non toccherò mai più le sacre rive

dove trascorsi la mia fanciullezza, 

Zacinto mia, che ti specchi nelle onde

del mare greco da cui pura nacque 

 

Venere, e che rese quelle isole feconde

con il suo primo sorriso, per cui raccontò

delle tue  bianche nubi e della tua vegetazione

il famoso poema di Omero, che 

 

cantò dei viaggi per mare voluti dal fato e

il procedere incerto, per i quali Ulisse, bello per

fama e sventure, riuscì a tornare alla sua rocciosa Itaca.

 

Tu non avrai altro che il canto di tuo figlio,

o mia terra natale; a noi il destino indicò

 una tomba sulla quale nessuno verserà  lacrime.

Anch'io come Fiorello...

LA CAVALLINA STORNA di Giovanni Pascoli

L'INFINITO di Giacomo Leopardi 

X AGOSTO di Giovanni Pascoli

LAVANDARE di Giovanni Pascoli

PIANTO ANTICO di Giosuè Carducci 

LA CAPRA di Umberto Saba

PARAGONI o SIMILITUDINI

(esercizi online)

                   

 LE FIGURE RETORICHE

ESEMPI

DALLA PROSA ALLA POESIA

ACQUANUVOLA

Un giorno di tanto tempo fa una nuvola apparve nel cielo e cominciò a piangere; un intero acquazzone innaffiò la terra tanto che si formò un acquitrino dai contorni un po' buffi, che la gente ancora oggi chiama Acquanuvola.
Il tempo passò e dei pesciolini cominciarono ad abitare Acquanuvola; l'acqua era calda, sembrava di trovarsi in un acquario. La vita sotto l'acqua era tranquilla: un vero paradiso.
Un brutto giorno, però, cominciò a scendere dal cielo una leggera pioggerellina che a poco a poco inquinò l'acqua. Tutti scapparono e Acquanuvola, rimasta sola, decise di evaporare e di fare così ritorno dalla sua amica nuvola.
Insieme con l'amica se ne andò in giro. Trovato un bel posto, Acqua precipitò un'altra volta al suolo, formando un grazioso lago di acqua dolce. Pure là la gente lo iniziò a chiamare Acquanuvola.
Ma un brutto giorno, però, capitò di nuovo che l'acqua pura s'inquinò. Tutti scapparono e Acquanuvola evaporò, ritornando ancora dalla sua nuvola.

POESIA E MUSICA

Un giorno una nuvola a pianger cominciò

e un forte acquazzone la terra innaffiò

un buffo acquitrino pian piano si formò

la gente tuttora lo chiama…

ACQUANUVOLA.

 

Col tempo i pesciolini lo abitarono

l’acqua era calda come in un acquario

la vita subacquea tranquilla continuò

un paradiso per tutti…

ACQUANUVOLA.

 

RIT.: Ma un brutto giorno

un’acquerugiola iniziò

ad inquinare l’acqua pura ohibò

tutti scapparono

e Acquanuvola evaporò

e con la nuvola… ritornò.

Insieme all'amica in giro se ne andò

trovando un bel posto, al suolo precipitò

un dolce laghetto anche qui si formò

la gente iniziò a chiamarlo

ACQUANUVOLA.

RIT.: Ma un brutto giorno

di nuovo capitò

che l'acqua pura lentamente s'inquinò

tutti scapparono

e Acquanuvola evaporò

e con la nuvola… ritornò.

DALLA POESIA ALLA PROSA

AUSCHWITZ

di FRANCESCO GUCCINI


Son morto con altri cento
son morto ch'ero bambino
passato per il camino 
e adesso sono nel vento.
 
Ad Auschwitz c'era la neve
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d'inverno
e adesso sono nel vento.
 
Ad Auschwitz tante persone
ma un solo grande silenzio
è strano non riesco ancora
a sorridere qui nel vento.
 
Io chiedo come può l'uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.
 
Ancora tuona il cannone
ancora non è contento
di sangue la belva umana
e ancora ci porta il vento.
 
Io chiedo quando sarà
che l'uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà.

 

I TESTI E LA POESIA VISIVA: I CALLIGRAMMI

PACE E AMORE